6 ottobre 2011 | Digital

Un grande umanista

Nel nostro dna c’è l’idea che la tecnologia da sola non sia sufficiente. Solo quando si sposa alle discipline umanistiche riesce a produrre risultati che fanno vibrare il cuore.

Steve Jobs, 2010

La citazione qui sopra dovrebbe spingerci, in queste ore, a ricordare Steve Jobs non quanto innovatore tecnologico (chi conosce la sua biografia sa che era un pessimo ingegnere) andando magari a fare a gara su quale sia stato il più geniale dei suoi prodotti (lo fa oggi il sondaggio scemo su Corriere.it), ma piuttosto come il più grande umanista a cavallo fra due secoli. E non sto esagerando.

Oggi facciamo fatica a ricordarlo, ma a metà degli anni ’80 (quando Apple era ancora agli esordi, Pixar e Wired non esistevano e le dotcom erano solo un bel sogno) esisteva un confine invalicabile fra tecnologia ed umanesimo. Da una parte c’erano i “nerd”, per cui parlare di computer era l’unico orizzonte quotidiano. Dall’altra c’era la diffidenza un po’ snobistica del mondo intellettuale e culturale nei confronti dei flussi di bit: lavorare a un terminale per un creativo era la morte della propria creatività.

Poi è arrivato Steve Jobs. Che ha dimostrato che alla tecnologia si può unire la stessa ispirazione semantica di una poesia. Che ha concepito il computer come opera d’arte, i fonts come quadri, lo spazio digitale come un piccolo museo da andare a visitare ogni tanto. Ecco, al bivio fra tecnologia ed umanesimo, Jobs scelse la multidisciplinarità e il “pensare di traverso” (proprio come un Querdenker, giustappunto). Ha concepito l’esperienza tecnologica come un’esperienza emotiva, la stessa che si prova ascoltando una canzone, leggendo un libro o guardando un film. Questa è la sua più grande intuizione, quella che oggi ha reso Apple l’azienda che conosciamo e quella che permette a un’intera generazione di creativi digitali di farsi strada nel crocevia di quei due mondi che oggi sono ancora più vicini, sempre più inclusi l’uno nell’altro.

L’eredità più grande che ci ha lasciato Steve Jobs  è la consapevolezza che le dimensioni più affascinanti della cultura del genere umano nascono dalla contaminazione delle discipline e non dalla loro purezza. Del menage a trois fra filosofia, umanesimo e scienza, Italo Calvino ne scrisse, 30 anni fa, nelle sue Lezioni Americane. Steve Jobs, quella fusione culturale, l’ha messa in pratica.

  1. Tutto molto bello, peccato che Jobs (i cui prodotti mi piacciono debbo dire) incarni il consumismo sfrenato (non hai ancora finito di pagare l’iphone 4 che ti esce quello nuovo, per dirne una) e la delocalizzazione folle (fabbrica cinese di Ipad = suicidi dei dipendenti a iosa).
    Ma fa molta tendenza dipingerlo come un umanista. Per cortesia, un umanista non aprirebbe fabbriche in Cina in condizioni pietose, giusto per dirne una.