Ieri l’Economist riporta una crescente rivoluzione digitale in Arabia Saudita, che, come molti sanno, è uno Stato confessionale, fortemente oppressivo e dove vige tutt’ora la legge islamica. E’ molto interessante notare che sono soprattutto i Social Media a veicolare una crescente voglia di rompere gli schermi tradizionalisti: il canale Youtube di UTURNentertainment è uno dei più seguiti nel paese (circa 300mila iscritti), e snocciola quotidianamente video che parlano, in modo divertente ed innovativo, del rapporto fra uomini e donne, di cucina e di religione. Spesso si ripercorrono i tormentoni che arrivano dall’occidente: dal famoso video dove due sconosciuti si baciano per la prima volta, fino all’immancabile Ice Bucket Challenge.
Secondo le statistiche riportate dall’Economist ogni saudita guarda almeno 7 video al giorno su Youtube, che è diventato a tutti gli effetti un canale alternativo alla televisione generalista saudita, quest’ultima incentrata esclusivamente sulla trasmissione di sermoni o di elogi al governo della Sharia. Ma guardando oltre non c’è solo Youtube: Twitter ad esempio sta crescendo a macchia d’olio (in un solo anno, fra il 2012 e il 2013, i suoi utenti sono aumentati del 45%) mentre gli iscritti a Facebook hanno toccato quota otto milioni, in un paese che conta appena trentuno milioni di abitanti.
Sono soprattutto i più giovani ad alimentare questa incredibile rivoluzione digitale: una generazione di ragazzi fra i 26 e i 34 anni che scopre nella Rete un’occasione, forse l’unica, per sfogare frustrazioni, conoscersi e divertirsi (va ricordato che in Arabia Saudita non solo è vietato l’alcool, ma sono proibiti anche alcuni luoghi d’intrattenimento, come i cinema e le discoteche).
Da veicolo di svago però le conversazioni sociali in alcuni casi sono diventate un modo di fare pressioni sul governo. Quando nel paese si è propagata la MERS (Sindrome respiratoria mediorientale da Coronavirus) causando molte vittime nella popolazione, il governo saudita è stato costretto a pubblicare una serie di bollettini ed aggiornamenti sul contagio proprio per arginare un crescente buzz in rete nato intorno al problema.
C’è anche da dire che se da una parte il regnanti sauditi assecondano la socializzazione e la condivisione digitale di contenuti, dall’altra, quando il livello di minaccia tende ad alzarsi, anche al rete diventa un luogo di repressione senza precedenti. Basti pensare ai 7 anni di carcere inflitti lo scorso 25 giugno all’attivista Fawzan al-Harbi, fondatore di un gruppo in difesa dei diritti umani, per aver diffuso in rete informazioni “dannose per l’ordine pubblico”. E spesso la tecnologia diventa anche un mezzo di controllo del dissenso: Human Rights Watch ha riportato di come il governo saudita abbia fatto uso di software di sorveglianza, infettando attraverso degli spyware i dispositivi di chi vive in Qatif, una località nella parte orientale dell’Arabia Saudita che dal 2011 è diventata un luogo di crescenti proteste antigovernative.
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