Con tutti i “però” del caso (anche perché molti, compreso me, aspettano ancora di provarlo), Volunia, il nuovo motore di ricerca tutto italiano presentato oggi in una pittoresca aula-conferenza dell’Università di Padova (e in diretta streaming in anteprima “mondiale”) non sembra aver convinto i più scettici della vigilia, né aver entusiasmato oltremodo i nazional-ottimisti. Io ero fra i primi. E nonostante covassi (proprio come una “gallina”) la segreta speranza di essere smentito dalla presentazione di stamane, qualche segnale (di forma e di contenuto) ha invece confermato alcuni miei dubbi sulla reale necessità di una simile applicazione web. Andiamo con ordine.
1) La presentazione, diciamo, è stata un mezzo disastro. Il ritardo di venti minuti, il proiettore collegato a Power Point che non funzionava (un classico), Marchiori che prendeva tempo fra gnocchi fritti, Santi e Patroni, la similitudine (anche significativa) fra Galline ed utenti web su cui si è insistito forse fin troppo. E’ emerso un affresco organizzativo tutto “italiano”, che mi ha fatto pure tenerezza. Ma se si ha la pretesa, la stessa avanzata da Marchiori, di presentare una start-up tradotta in sedici lingue con l’ambizione di farsi carico di un traffico mondiale (e già si punta in alto) beh, bisognerebbe anche fare più attenzione a queste mere questioni di forma.
2) La forma non si limita alla presentazione. Include anche il primo impatto con l’home page di Volunia, e con le prime schermate che viaggiano in rete degli utenti che sono riusciti già ad usare la piattaforma. Non sono immagini accattivanti. L’approssimazione grafica, l’uso grossolano dei font, la coordinazione un po’ ingombrante dei colori, sono elementi che scoraggiano chi un pochetto conosce la fluidità, il minimalismo e l’eleganza grafica delle nuove piattaforme web. Ecco, qui si tratta di ammettere quel fastidioso vizio tutto accademico per cui se un’idea è interessante, la rappresentazione visuale ed emozionale di quell’idea è un elemento che va in secondo piano rispetto alla sua funzionalità. Può sembrare davvero un fatto secondario, ma non lo è. Perché proprio in quei casi dove l’idea è potenzialmente rivoluzionaria o potenzialmente fallimentare (e sicuramente quella di Volunia si pone proprio in questo “mezzo”) un immaginario visuale accattivante ed accogliente fa la differenza. Il vestito fa il monaco, e Volunia non appare ben vestito.
3) Lasciandoci indietro la forma, parliamo di sostanza. Volunia concentra tutto il suo concept nella sfida di creare connessioni sociali (forum e chat) fra gli utenti che visitano le stesse pagine web. E’ la vera novità ed è la scommessa di Marchiori: trasformare la normale navigazione in Rete che (più o meno) anonimamente intraprendiamo ogni giorno in un’esperienza sociale dove incontrare utenti che visitano lo stessa pagina web assieme a noi. Tutte le previsioni che si possono fare sul successo o meno di Volunia, dipendono proprio da come il web può intercettare questo interesse. La sentiamo davvero come una cosa necessaria? Ma soprattutto, come si naviga oggi in Rete?
Su Twitter l’ho già segnalato, ma lo rifaccio qui: proprio sabato scorso Evgeny Morozov sul New York Times decreta la fine del Cyberflâneur. Il flâneur era per Walter Benjamin il prototipo dell’uomo generato dalla rivoluzione industriale, che passeggiando per la propria città, era in continua ricerca delle metamorfosi urbanistiche della Parigi di fine ‘800. Con gli studi sui Nuovi Media, il concetto di flâneur, è stato accostato quello del primo utente web. Il turista che “esplora” la rete in lungo e in largo, attratto dalla rapidità con cui è possibile spostarsi da un “posto” all’altro. Morozov riprende questo concetto e lo ritiene ormai superato dall’attuale approccio degli utenti alla Rete:
Something similar has happened to the Internet. Transcending its original playful identity, it’s no longer a place for strolling — it’s a place for getting things done. Hardly anyone “surfs” the Web anymore. The popularity of the “app paradigm,” whereby dedicated mobile and tablet applications help us accomplish what we want without ever opening the browser or visiting the rest of the Internet, has made cyberflânerie less likely. That so much of today’s online activity revolves around shopping — for virtual presents, for virtual pets, for virtual presents for virtual pets — hasn’t helped either. Strolling through Groupon isn’t as much fun as strolling through an arcade, online or off.
[…]
Meanwhile, Google, in its quest to organize all of the world’s information, is making it unnecessary to visit individual Web sites in much the same way that the Sears catalog made it unnecessary to visit physical stores several generations earlier. Google’s latest grand ambition is to answer our questions — about the weather, currency exchange rates, yesterday’s game — all by itself, without having us visit any other sites at all. Just plug in a question to the Google homepage, and your answer comes up at the top of the search results.
Whether such shortcuts harm competition in the search industry (as Google’s competitors allege) is beside the point; anyone who imagines information-seeking in such purely instrumental terms, viewing the Internet as little more than a giant Q & A machine, is unlikely to construct digital spaces hospitable to cyberflânerie.
E se ci pensiamo bene, è proprio così. Si naviga meno, si esplora ancora di meno e navigando si è così veloci che saltiamo da un link all’altro, senza fermarci un secondo. La pagine dei risultati dei motori di ricerca diventano sempre più profilate, i motori di ricerca stessi (Google) sanno che la sfida del futuro non si gioca più su massimizzare l’offerta della navigazione, ma di limitarla, di selezionarla sulla base dell’autorevolezza delle fonti e degli interessi degli utenti.
E’ un po’ la sindrome del Novecento di Baricco: alla vista di un mare ormai infinito di informazioni, si smette di essere avventurieri in rete, ma si preferisce restare sulla propria nave con la sicurezza di interagire con un piccolo ma significativo numero di utenti, di fonti da assorbire, di “lidi” dove approdare. Con i Social che fungono da vero veicolo, aggregatore di contatti, bussola d’orientamento. Volunia, mi pare invece che scommetti tutto sulla potenzialità di una navigazione come veicolo di connessione, senza tenere conto che l’epoca del flâneur non solo è morta e conclusa, ma la stessa velocità di navigazione diventa sempre più compulsivamente veloce, un mordi e fuggi che non può lasciare scampo a nessuna riflessione sul proprio ruolo di navigatore, e nemmeno può lasciare spazio a un’eventuale socialità. Sulla base di cosa inoltre? Del fatto che Tizio e Caio stiano visitando una stessa pagina, ma con diverse ragioni? Gli interrogativi si moltiplicano. Ecco, paradossalmente, parafrasando Marchiori, la gallina rifiuta si la gabbia, ma perfino l’aperta campagna. Forse cerca soltanto un pollaio più comodo, ma nemmeno troppo affollato.
Detto questo, mi auguro, sempre di più, di sbagliarmi. Non tanto perché Volunia è tutta italiana e dunque “viva-l’italia-sempre-e-comunque”, quanto piuttosto perché esperimenti come quelli di Volunia sono necessari. Anche nel loro eventuale fallimento, possono insegnarci la filosofia del rischio nell’innovazione tecnologica. La cui mancanza è il principale freno di tante, tantissime idee rivoluzionarie. Che poi Volunia possa essere una di queste idee, ce lo dirà solo il futuro prossimo.
Sembra davvero interessante questo nuovo motore di ricerca, in particolar modo poter vedere i siti da un’altra prospettiva… Speriamo bene!