3 aprile 2012 | Politicando

“Ma quindi sono stati gli anarchici?” Post di una strage e osservazioni sparse sul cinema civile

Premessa: nel 2006 usciva questo sondaggio su Il Corriere della sera, dove si evidenziava la grande confusione degli studenti italiani riguardo alla vicenda storica di Piazza Fontana:

Il 43% degli intervistati ritiene le Br responsabili della strage di Piazza Fontana

Torniamo ad oggi. Venerdì sera ero in quarta fila nel mio Cinema preferito a guardare Romanzo di una Strage di Marco Tullio Giordana. C’erano un sacco di gente “anziana” se così si può definire, ma anche qualche sparuto gruppo di giovani. Venti anni o su di lì. Prima dell’inizio del film è uscito dalla cabina di proiezione un tipo trafelato che continuava a dire “c’è un guasto al proiettore, si parte in ritardo. Ma si parte” (in effetti essendo un film su Piazza Fontana non era affatto scontata la “partenza”). Finalmente, dopo mezz’ora di attesa, il proiettore ha funzionato.

Nel film c’era Mastandrea che interpretava il commissario Calabresi, il Pinelli recitato da Pierfrancesco Favino, Aldo Moro da Fabrizio Gifuni, tutti molti bravi. E qua e là spuntavano Saragat, Valpreda, Ventura, Delle Chiaie e perfino il principe Borghese. Per due ore buone il film ripercorre le tappe precedenti e successive alla strage di Piazza Fontana, compreso la caduta di Pinelli dal quarto piano della questura di Milano. Poi, verso il finale, in un dialogo fra Calabresi e un dirigente, viene ipotizzata una pista che individua quello che realmente è successo il 12 dicembre 1969: ovvero che la bomba alla Banca dell’Agricoltura sia stata messa due volte. Due bombe, una di matrice anarchica, l’altra, quella più potente, messa dai neofascisti coperti dai Servizi deviati.

A fine proiezione c’era un po’ di sconcerto. In particolare il gruppo sparuto di giovani è passato vicino a me e non ho fatto a meno di percepire fra di loro una sorta di delusione collettiva: il film non era piaciuto affatto. Ma non solo, uno di loro ha “ammesso” di aver capito veramente poco di tutta la vicenda. Di non essere riuscito ad associare ai visi degli attori i personaggi storici di cui aveva sentito vagamente parlare (in effetti mancavano delle necessarie didascalie ai personaggi). E non gli era nemmeno chiaro chi fosse stato il colpevole di tutto. “Ma quindi sono stati gli anarchici?”. Un altro di loro ha cercato di spiegargli che no, probabilmente c’è stata la doppia bomba, la doppia valigia, il doppio taxi e via discorrendo. Gli anarchici si insomma, ma non erano i soli.

Ecco, io credo che tre (anzi, quattro) cose sia necessario dirle a proposito di questo film.

La prima è che non basta scegliere la strada giusta, ma è necessario imboccarla. Marco Tullio Giordana ha scelto il sentiero giusto, quello di un film su Piazza Fontana. Ma l’ha imboccato malissimo. Ha preferito avanzare una storia tralasciando l’importanza e l’enfasi del racconto, e non cogliendo la possibilità che il cinema ha di trasfigurarlo in qualcosa di accessibile a tutti. Perfino Armando Spataro, che non è certo un cineasta, ieri ha colto questo punto, ricordando il fatto che un film come Buongiorno, Notte di Bellocchio, nella sua libertà narrativa è stato paradossalmente più capace di raccontare una realtà (quella del brigatismo) e di appassionare le giovani generazioni a quella vicenda rispetto a quello che è riuscito a fare Romanzo di una Strage su Piazza Fontana.

La seconda è che Tullio Giordana, nel privilegiare la storia rispetto al racconto, ha preferito alla verità storica su Piazza Fontana (che pure esiste ed è emersa da processi ed inchieste), una nuova verità ipotetica, una delle tante ma forse la più indecente, ispirata dal libro “I Segreti di Piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli (la doppia bomba, il doppio taxi, ect). Una sorta di fastidiosissimo tentativo di complicare nuovamente le cose, forse perché qualcuno è convinto che sia molto affascinante essere diabolicamente dietrologi e complottisti anche quando la verità assodata su quei fatti è molto più accessibile di quanto si possa immaginare. Ecco che quindi, 43 anni dopo, gli anarchici con la loro bombetta ritornano più o meno ad essere complici della Strage di Piazza Fontana.

La terza idea che mi sono fatto è che questo film è che rappresenta davvero un perfetto riflesso del meccanismo della memoria qui da noi in Italia. Una memoria ideologica, qualunque sia l’ideologia (non c’è solo comunismo e fascismo, anche le tesi del complotto sono un’ideologia). Una memoria che non riesce a liberarsi del proprio passato e rileggere con dovuta obiettività le vicende di quegli anni. Una memoria che tende, ogni volta se ne presenta l’occasione, di rinfocolare polemiche e contrapposizioni, di alimentare dubbi e nuove colpevolezze, di far precipitare tutto di nuovo all’indietro. Non a caso Romanzo di una Strage in questi giorni ha riacceso la polemica fra i protagonisti diretti o indiretti di quegli anni (Adriano Sofri e il suo Istant-book, Mario Calabresi, l’ex magistrato d’Ambrosio). E la dimostrazione che qualcosa è andato storto, che il film non ha elaborato la vicenda di Piazza Fontana riuscendo a filtrarla nelle non poche e importanti verità che sono emerse dai processi, ma ci fa fare uno, dieci, cento passi indietro e ci riporta a dibattiti che pensavamo ormai morti e sepolti da decenni. Questo non sarebbe niente, se la conseguenza non fosse l’esclusione totale dal dibattito su Piazza Fontana (come su ogni altra strage italiana) quelle nuove generazioni che fino a qualche anno fa pensavano fosse stata una strage ad opera delle Brigate Rosse e che oggi, dopo aver visto il film di Giordana, escono dal cinema ancora più confuse, con magari in testa questa idea un po’ balzana della doppia bomba.

Infine, l’ultima osservazione: ogni generazione è padrona della storia che ha vissuto, ma alcune generazioni sono più brave a rielaborare quella stessa storia. Dopo aver visto Romanzo di una Strage ho pensato subito a Non lavate questo sangue di Daniele Vicari, visto al Festival di Berlino un paio di mesi fa (e che uscirà fra una decina di giorni anche in Italia). E’ un film sulle vicende della scuola Diaz, e mi è venuto in mente perché è esattamente l’esempio opposto all’approccio di Romanzo di una Strage. Nel film di Vicari c’è la verità storica, c’è la fascinazione narrativa, c’è la riflessione etica. E’ cinema civile all’ennesima potenza, che va oltre il documento o “il romanzo” (“I romanzi non bastano”, apre un articolo di Marco Imarisio su La lettura). Un’opera insomma ben lontana dal cinema ideologico di Romanzo di una Strage. Ecco perché dico che forse le nuove generazioni sono più capaci di rielaborare la loro storia passata molto più di quanto lo sono i loro genitori. Dunque, chissà: magari quando un giovane regista riuscirà a mettere le mani sul passato dei suoi padri, senza sentirsene il padrone esclusivo come hanno fatto loro, forse riusciremo a vedere un buon film anche sulla strage di Piazza Fontana. Anche dovessero passare altri 43 anni.

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