E’ singolare osservare come nell’epoca della fluidità della comunicazione, la stessa memoria diventa fluida. Si trasforma. Cambia a volte. Diventa un’altra cosa da quello che voleva ricordare. Oggi, 27 gennaio, guarda caso, è la Giornata della Memoria. E, guarda caso, è rispuntata di nuovo una “famosa” frase attribuita (falsamente) a Primo Levi, ebreo, scrittore e chimico, sopravvissuto al Campo di sterminio di Monowitz. La frase è questa:
«Ognuno è ebreo di qualcuno.Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele»
e ovviamente può avere una valenza molto strumentale in relazione al conflitto arabo-palestinese.
Naturalmente, Levi non aveva mai detto niente del genere. Giusto o sbagliato che sia il concetto contenuto in quella frase, rimane un concetto di una superficialità e una retorica lontanissime dall’approccio di Primo Levi all’Olocausto (Levi, per esempio, era fermamente convinto dell’unicità della Shoah).
E’ piuttosto una fase derivata da una “sostituzione” conseguita da un'”estrapolazione”. La frase giusta è
Perché ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi.
e a pronunciarla non è Primo Levi, quanto un personaggio letterario del suo unico romanzo (Se non ora quando?).
Il fatto che sia diventata un’altra frase, in cui sono stati fatti entrare israeliani e palestinesi, è una di quelle magie della Rete, per cui una citazione mai pronunciata da un autore, può diventare quella più usata per citare lo stesso autore (il meccanismo è spiegato in modo preciso e impeccabile da Peppino Ortoleva, su PrimoLevi.it, il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi). Il bello è che questa frase oggi è ha fatto capolino non solo su Facebook, Twitter, blog vari, ma anche in lidi telematici insospettabili (vedi un articolo di Lettera43, mentre l’anno scorso c’era “cascato” The Frontpage di Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi). La memoria 2.0, dicevamo, a volte fa cilecca. Ma forse ci fa comodo così.
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