“Blog”, “web”, “rete”, “internet”, “youtube”, “post”, “piattaforma”, “liquidità”. Ecco il tagcloud con cui Beppe Grillo ha catturato la stampa italiana. Oggi the comedian rappresenta la fetta più grande degli italiani, forte del suo 25,55%. Acclamato dagli osservatori politici- soprattutto da quelli più lontani dalle dinamiche della Rete- come il leader del nuovo “Partito 2.0”, declinato alla democrazia digitale e protagonista di una rivoluzione che con l’apriscatole della Rete ha scardinato le porte del Palazzo d’Inverno della politica.
Il blog come televisione e l’uso berlusconiano della Rete
Secondo Serena Danna, giornalista del Corriere della Sera, le cose non stanno esattamente così.
“Il successo di Beppe Grillo – scrive – nasce e si consolida sul blog, strumento che – pur nella sua resistenza – appartiene a una fase iniziale di Internet”.
In effetti il misticismo digitale di Grillo&Casaleggio considerato nei suoi strumenti reali sembra ridursi a una piattaforma di blogging e, strumento a parte, è proprio il modo con cui è usato che fa riflettere. Il blog di Beppe Grillo appare come una sorta di enorme antenna telematica che detta il Verbo dall’alto verso il basso, dando per scontato che chi sotto “riceve” non può altro che assorbire senza poter interagire con il flusso emittente. E non stiamo parlando di un blog di un perfetto sconosciuto: stiamo parlando del blog di uno degli (ex?) comici più famosi del paese, che deve la gran parte del suo successo alle sue prime apparizioni su un media tradizionale come quello televisivo.
Eccoci al punto: un certo Jay David Bolter, una dozzina anni fa, decise di coniare il termine “rimediazione”, cercando di definire in questo modo la rappresentazione di un mass medium in un altro, ovvero l’utilizzo di alcune caratteristiche tipiche di un medium all’interno di un altro. Beppe Grillo fa proprio questo: “rimedia” la televisione in un blog. O meglio, rimedia la televisione attraverso un blog. Come la televisione il blog di Grillo cavalca la stessa logica unidirezionale, dall’alto verso il basso, che non lascia spazio a nessuna interazione fra emittente e ricevente se non attraverso un form di commenti (spesso censurati). Il terreno è si quello della Rete, ma la dinamica è quella del media generalista e di massa più famoso del ventesimo secolo. Tanto che sorge una speculare opposizione fra la strategia comunicativa di Grillo e quella di Berlusconi: il primo assente dalla televisione che però è costretta a parlare di lui per i proclami lanciati dal suo blog; il secondo assente dalla Rete che però è costretta a parlare di lui per le sue comparsate video-televisive. In entrambi i casi però quello che conta è che il flusso è verticale, esclusivo, privo di criticità all’interno del medium da cui è stato generato.
La materializzazione dell’immagine e l’esibizione del corpo
Questo tipo di comunicazione top-down di Grillo sembra aver contagiato i grillini stessi. Del resto, come evidenzia Claudio Smargiassi su La Repubblica
“i candidati 5 Stelle sono attivi sul Web meno di quelli Pd (il 97% dei quali è presente su almeno tre social network) e perfino di quelli del Pdl (75%). Solo il 42% dei grillini va oltre la classica doppietta Facebook-Twitter. Ma sapete dove non li batte nessuno? Su YouTube. Dove i loro video sono da sette a venti volte più visibili di quelli dei concorrenti”.
E’ dunque la logica “televisiva” il punto di forza del grillismo e questo è un’eredità squisitamente novecentesca, che apparentemente orizzontalizza la comunicazione politica ma che in realtà non fa altro che mettere al centro della propria propaganda (digitale, of course) la materializzazione dell’immagine e l’esibizione del “corpo”. Elementi arcaici che hanno fatto la fortuna della politica vecchio stampo e che sono esattamente opposti a concetti come quelli dell’immaterialità e della spersonalizzazione che invece sono le colonne portanti delle migliori esperienze di attivismo digitale.
Questo meccanismo della subalternità dei nuovi media agli elementi dominanti dei vecchi media tende a generare casi estremamente singolari fra i grillini. Ad esempio, come non provare una certa tenerezza nel vedere il neodeputato del M5S Paolo Bernini che alle telecamere di Ballarò elogia il documentario Zeitgeist – The Movie (“trovato su Youtube”) e cerca di convincerci che (come spiega il documentario in questione) esiste una cospirazione a livello mondiale che vuole installare a tutti micro-chip sottopelle? Le tesi del complotto in Rete hanno sempre avuto i loro accaniti seguaci e quasi sempre conquistano utenti più facilmente suggestionabili e portati ad assorbire passivamente informazioni senza metterle in discussione. Ritorniamo alla logica del tubo catodico, per la quale mia nonna credeva a una cosa detta dalla televisione non già perché fosse davvero accaduta, ma perché “l’ha detta la TV”. La stessa cosa probabilmente accade anche per il “cittadino” Bernini: non importa che, attingendo a fonti direttamente sul Web, migliaia di blogger durante gli anni hanno brillantemente smentito la gran parte delle tesi di Zeitgeist – The Movie. L’attivista grillino continuerà usufruire della potenzialità della Rete nello stesso modo con cui si guarda un canale televisivo. Mentre la Rete indica la luna, lui continuerà a guardare il dito.
Trasparenza, partecipazione, conversazione: queste sconosciute
Dopotutto se uno si va vedere perché in Rete i blog (e tutte le piattaforme unidirezionali) non funzionano più capisce che oggi non basta più lanciare il proprio messaggio a un massa indistinta di utenti. Il messaggio è piuttosto l’input che può generare una conversazione intorno a un problema, ad uno stimolo, ad un progetto. Il vero contenuto del messaggio diventa il risultato di una partecipazione diffusa, di una discussione, di una conversazione profonda che ibrida e sintetizza più punti di vista, più soluzioni al problema. In questo senso la strategia del Grillo digitale è lontana anni-luce dallo sfruttare le vere potenzialità democratiche della Rete, ma anzi, sembra andare in direzione opposta: quando all’indomani del successo elettorale Gianroberto Casaleggio ha esortato gli eletti grillini a “non fidarsi di scrivere sui social network” perché “pericolosi”, non solo sembra voltare le spalle ai veri strumenti della conversazione in Rete, ma perfino al principio della trasparenza, per la quale la Rete diventa soprattutto un luogo di confronto costante e continuo al quale non ci si può sottrarre. Non a caso sui principali social network Beppe Grillo fa esattamente la stessa cosa che fa sul suo blog: irradia links che portano esclusivamente a lui, senza discutere con i suoi followers/likers. Alla conversazione multiutente della Rete, il grillismo recupera un altro elemento tipicamente televisivo come quello dello slogan “prendere o lasciare”: ancora una volta alla dinamica centrifuga della Rete, sostituisce quella centripeta della comunicazione di Massa.
Piuttosto che il vascello dei Pirati, il battello del Santone
Concludendo, per immaginarsi meglio il concetto di Rete che sembra rappresentare il grillismo è utile guardarsi l’ultimo bel film di Paul Thomas Anderson, The Master. Nelle scene inziali il protagonista Freddy si ritrova improvvisamente sul battello di Lancaster Dodd, personaggio ispirato alla vera figura di Ron Hubbard, fondatore e ideologo della setta di Scientology. Il battello di Dodd/Hubbard prende il largo, e il gruppo di persone a bordo, compreso Freddie, rimane isolata durante un viaggio durante il quale sarà allenata, fra tantra mistici ed atti di Fede, alla nuova religione ideata dal Guru. Ecco, piuttosto che ad un Vascello dei Pirati (simbolo dell’attivismo digitale in Svezia e in Germania), un luogo in costante scontro/confronto con altre rotte e con altre navi e in continuo attracco verso nuovi porti, la “navigazione” dei grillini in Rete sembra più assomigliare al viaggio della barca del Santone per cui levare gli ormeggi verso il mare aperto è solo un mezzo per isolare un gruppo di persone e impartirgli un nuovo Verbo. Che al porto di partenza si possa anche non più tornare, o tornare su una nave diversa o semplicemente cambiare porto, è una soluzione che il grillismo non prende minimamente in considerazione. Come il Guru di The Master, anche Grillo usa il suo battello a proprio uso e consumo, come in un’esclusiva “Rete nella Rete”. E tutto ciò è perfino legittimo: ma il saper usare in modo inclusivo, democratico e innovativo il Web è un altro paio di maniche.
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