Ne avevo già scritto un po’ di tempo fa per Mixtape. Ma dopo le ultime vicende del Movimento 5 Stelle si parla a più voci del fallimento della “democrazia digitale” e a me sta cuore ribadire tre concetti tre, per quanto elementari:
1) A tutti gli effetti, la democrazia digitale grillina non è (stata?) altro che una forma di politica novecentesca proseguita con altri mezzi. Alla base c’è l’idea, molto approssimativa, che la rete sia altro che un luogo “decisionale”, come fosse un’affollata sala dei bottoni dove ogni click vale 1 voto. Intesa in questo modo, la democrazia digitale del Movimento 5 Stelle ricalca una sorta di referendum elettronico, dove l’utente incluso nel percorso partecipativo non è altro che una sorta di terminale destinato a prendere una decisione (come si arriva ad elaborare questa decisione e le scelte messe in campo, resta un mistero). Non c’è insomma inclusione, orizzontalità, dibattito: c’è piuttosto esclusione, verticismo e decisioni. Il primo abbaglio sta qua. Pensare che la Rete sia un punto di arrivo, e non invece un punto di inizio. Pensare che la Rete serva a prendere decisioni di massa attraverso una piattaforma online, quando invece dovrebbe essere uno strumento per disarticolare il percorso decisionale, renderlo più aperto e trasparente: con un confronto che generi proposte, contaminazioni di punti di vista, e via dicendo. Se si dovrebbe votare qualcosa insomma, non dovrebbero essere persone (da candidare o da espellere), né tantomeno decisioni (che arrivano già “impacchettate”) ma piuttosto idee e soluzioni, attraverso una liquidità di opinioni che non può essere massificata semplicemente chiedendo di cliccare su “Si” oppure su “No”.
2) Il secondo abbaglio, conseguente al primo, è che la democrazia digitale avrebbe dovuto avere il fine ultimo di rimpiazzare la democrazia rappresentativa. Che i “cittadini” grazie alla Rete, avrebbero dovuto sostituire i “politici”: come se, solo per il fatto di provenire dal “basso” ed essere connessi in Rete, questi cittadini sarebbero stati sicuramente più onesti, competenti ed efficienti di ogni altro politico di professione. Poi è successo che però la democrazia del blog di Grillo non è stata capace di cambiare la politica classica senza sfasciarla, ma anzi, è stata cambiata essa stessa dalla fobia di essere inghiottita dalla partitocrazia. Ed ecco che la democrazia digitale, da strumento di inclusione è diventata un modo per scavarsi una trincea autoreferenziale nella quale si è finito per cooptare le peggiori pratiche dei partiti politici novecenteschi (epurazioni comprese).
3) La democrazia digitale, probabilmente, esisteva prima di Grillo e continuerà ad esistere anche senza Grillo. E’ fatta da migliaia di portali, blog, forum, gruppi di discussioni e piattaforme collaborative che costituiscono una sfera pubblica nuova ed emergente che conversa attraverso la Rete e che influisce sulla politica (solo e fintanto che la politica se ne sente coinvolta e controllata, non esclusa a priori). E’ una democrazia dei pareri e della consapevolezza, che arricchisce il dibattito pubblico. E’ una democrazia che allarga le soluzioni e la trasparenza delle soluzioni messe in campo. E’ una democrazia che non può esistere fuori dal contesto degli attori sociali già esistenti, partiti politici compresi. E’ una democrazia partecipativa che vuole migliorare e perfezionare la democrazia rappresentativa, non la vuole cancellare. E’ una democrazia che non si limita a scegliere fra “bianco” e “nero”, ma ha l’ambizione di affrontare con diversità di opinioni le scale di grigi, attraverso strumenti che consentono la partecipazione, l’informazione e infine, lo sviluppo di una coscienza critica.
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